Studio di Audiometria e Vestibologia






EMOTIVITA' E RIEDUCAZIONE DEL PAZIENTE VERTIGINOSO

Ad un paziente vertiginoso, oltre agli esercizi del protocollo vestibolare, bisogna riservare un’atmosfera accogliente e affidabile ed un rapporto schietto e motivante.



"Ha lavorato con individui di ogni età, presso l’Azienda Sanitaria Locale di Olbia e il suo Centro dell’Equilibrio di Sassari. Audiometrista libero professionista, Gabriele Piredda ha accettato di condividere con colleghi e lettori le sue considerazioni e la sua esperienza nel settore, nel contributo che segue. Ritratto di operatore, con intervista."



Chi di noi, lavorando con pazienti che lamentano vertigini croniche, non si confronta quotidianamente con soggetti che hanno sviluppato meccanismi di difesa e protezione per paura della sintomatologia? È opinione comune che il paziente vertiginoso, anche il più impavido, cerchi di evitare di confrontarsi con i suoi sintomi. Quanti pazienti ci hanno detto «Non posso, ho paura di cadere, e se mi ritorna la vertigine?», «Preferisco rimanere a casa, ho paura che gli altri mi vedano sbandare». Da diverso tempo è ormai chiaro che individui con deficit vestibolari stabilizzati ricevono grande giovamento dai protocolli di riabilitazione vestibolare. Mi piace in questo articolo soffermarmi non tanto sui protocolli da applicare o sui migliori esercizi da eseguire, ma piuttosto su quanto la paura e lo stato ansioso-emotivo del nostro paziente vertiginoso e/o instabile amplifichino e impediscano il compenso e, a cascata, il recupero e la conseguente riduzione o scomparsa dei sintomi. La prima precisazione che vorrei fare riguarda l’utilizzo del termine “rieducazione”, anziché “riabilitazione”: consideriamo che uno degli obiettivi principali del nostro lavoro è quello di aiutare il paziente a riprendere in mano la propria quotidianità, proprio rieducandolo ai movimenti corretti e non programmati per evitare la sua sintomatologia.

Fermo restando che è necessario individuare i giusti esercizi per ogni paziente, a mio avviso è prima di tutto essenziale cercare di spiegare all’interlocutore, in parole semplici, cosa gli sta accadendo e perché tutti i suoi movimenti più ordinari siano diventati così difficili e fastidiosi. Non parlo di diagnosi: quella spetta giustamente al medico specialista. Ma ritengo importante illustrare in quel contesto come funziona l’orecchio, su quali meccanismi si fonda l’equilibrio – orecchio, occhio, propriocezione – e quanto e come si sono modificati, creando confusione in quella sorta di centralina dell’equilibrio di cui è dotato il nostro organismo. Prima di iniziare il percorso rieducativo il paziente deve prendere coscienza del problema, capire cosa è cambiato: a mio parere è questo il punto di partenza imprescindibile. A chi si rivolge a noi per affrontare il suo disturbo vanno spiegati gli obiettivi: bisogna cercare di coinvolgerlo, spiegandogli che è normale – anzi, positivo – che la fase iniziale del percorso rieducativo possa accentuare la sintomatologia e, magari, risvegliare fenomeni neurovegetativi. Gli va comunicato che si comincerà questo percorso gradualmente, in modo da non creare sintomi eccessivamente fastidiosi, ricordandogli ancora una volta e con chiarezza che, per stare bene, deve purtroppo stare male.

Con l’audiometria infantile è possibile valutare bambini di età compresa fra i tre mesi e i cinque anni.



Dopo la salita, c’è sempre la discesa. Un altro passo fondamentale da compiere per iniziare il trattamento è capire la voglia che il paziente ha di soffrire per rimettersi in gioco e migliorare. Dev’essere chiaro che l’audiometrista è una spalla, ma non un bastone: non può fare quello che deve fare l’interessato. Il percorso funziona se ognuno esegue la sua parte: a me audiometrista spetta il 50% del lavoro – guidare il mio paziente, togliergli i dubbi, scegliere gli esercizi, correggerlo, sostenerlo e spronarlo – ma lui dovrà impegnarsi direttamente per l’altro 50%. Se uno di noi due arriva al 51% stiamo già alterando gli equilibri necessari ai fini di un buon risultato. Inoltre, tanti pazienti pretendono di risolvere il problema con il solo aiuto dei farmaci, perché non hanno voglia di faticare. La terapia farmacologica può sicuramente essere d’aiuto e di supporto, in molti casi, ma non può sostituire la rieducazione. Ritornando alla prima fase del dialogo e della spiegazione degli obiettivi, risulta molto efficace illustrare quali sono i lati positivi e negativi della problematica in corso. Negli anni, molto spesso, diversi pazienti a posteriori mi hanno chiesto: «Ma come fa lei a sapere quello che succederà sottoponendosi alla rieducazione? È possibile che gran parte di quello che dice effettivamente accade?».

Posso considerare che questo è senza dubbio frutto dell’esperienza e della casistica raggiunta, ma è anche la conseguenza del dialogo, del confronto e dell’ascolto che creo con ogni paziente. Sono ormai convinto che una persona motivata e consapevole raggiungerà obiettivi maggiori e in minor tempo. Certo, gli esercizi sono il mezzo iniziale per cambiare rotta e marcia, ma la vera rieducazione è convincere l’interessato ad inserirli nella sua vita quotidiana, chiedendogli di applicare i principi rieducativi durante tutta la giornata e non soltanto quindici o venti minuti la sera. Un altro aspetto che ritengo fondamentale per un efficace percorso riabilitativo riguarda la mia disponibilità e la mia presenza. Spesso il soggetto vertiginoso attraversa momenti o giornate buone ed altre meno buone: sapere che può contare su di me, chiamandomi o passando nel mio studio, lo aiuta a non mollare e a proseguire sulla strada intrapresa. Come accennavo, l’audiometrista deve essere una guida o – se preferiamo – una spalla, ma non un bastone. Lo stesso discorso va rivolto ai familiari, che devono sostenere il loro caro e non fare per lui ciò che gli crea fastidio. Non bisogna dimenticare mai che la vertigine è un sintomo imprevedibile, molto negativo e allarmante; molti preferirebbero una gamba fratturata.



Vestibologia è la branca che studia la funzionalità del sistema vestibolare, situato nella parte posteriore dell’orecchio interno.

Sapere di poter chiarire i propri dubbi con il professionista in tempo reale è fondamentale per la prosecuzione del percorso. Allo stesso tempo è cruciale che l’audiometrista rimanga fermo nel far rispettare il programma al paziente, senza farsi ingannare o fuorviare dalle difficoltà e dai fastidi riferiti e, spesso, enfatizzati per paura delle conseguenze. È necessario ricordargli che la rieducazione non è magia, ma è frutto di un lavoro costante e quotidiano; che prima di ottenere i risultati si dovranno affrontare salite e discese, alternate da passaggi più scorrevoli come rettilinei o impervi come sentieri di montagna. È un esempio che porto a tutti i pazienti: mi capita spesso di usare metafore, per farmi capire. Il messaggio è che gestire, ridurre o eliminare la vertigine con la rieducazione è come scalare una montagna a piccoli passi: non bisogna né voltarsi indietro né scegliere la strada più comoda, tantomeno cercare scorciatoie. Sono certo che trovare qualcuno che li aiuta ad affrontare il problema e li supporta è per loro un’ancora di salvezza. Come una guida affidabile, una buona bussola. È poi importante ricordare che ogni paziente è diverso da un altro. Come ogni montagna e ogni scalata. Rispettando i principi della rieducazione vestibolare, pertanto, bisogna gestire ciascuno in modo personalizzato, valutando il lato emotivo, lo stato d’ansia, i fenomeni neurovegetativi; è opportuno considerare che si tratta di una sintomatologia cronica, spesso presente da diversi mesi o addirittura anni, che a causa della sua imprevedibilità e negatività ha sicuramente accentuato lo stato ansiosoemotivo. Ma la conclusione non può che essere la soddisfazione, nel sentirsi ringraziare da una persona che ha ripreso in mano la propria vita: non è descrivibile, ed ogni volta è come se fosse la prima.





L'INTERVISTA

Centro dell'Equilibrio del Dott. Gabriele Piredda


Bel ritratto sorridente di Gabriele Piredda, audiometrista sassarese autore di questo contributo.


Audiology Infos. Considerando lo stato attuale del settore, quali sono a suo parere i punti di forza e di debolezza dell'audiometria in Italia? Come vede l'integrazione con le altre professioni sanitarie, in particolare i medici specialisti otorinolaringoiatri e audiologi e i tecnici audioprotesisti?

Gabriele Piredda. Il punto di forza è scritto nel nostro profilo professionale: se lo si legge, ci si rende conto che possiamo essere coinvolti in tanti settori sanitari sia pubblici che privati; il nostro ruolo si sviluppa in ambito di prevenzione, di supporto diagnostico ai medici specialisti, di riabilitazione uditiva, di supporto ai colleghi audioprotesisti e vestibolare. Come tutti i professionisti, in Italia, dobbiamo lottare contro l’abusivismo e la prevaricazione professionale. Se nei vari settori e servizi di competenza fossero impiegati gli audiometristi, saremmo in carenza di personale. Da alcuni anni la nostra associazione di categoria, l’AITA – Associazione Italiana Tecnici Audiometristi, lotta quotidianamente per raggiungere questo risultato: secondo me i primi risultati iniziano a vedersi, ma il lavoro deve essere coadiuvato quotidianamente dal singolo professionista, che deve credere nella possibilità di raggiungerli. La debolezza, a mio parere, è data dal numero: siamo pochi e poco conosciuti, oltre che poco presenti capillarmente nel territorio; in molti ambiti c’è una carenza di richiesta, dovuta al fatto che nessuno inserisce la nostra figura negli organici. Penso che la caparbietà di credere nella nostra professione, nel nostro ruolo, senza farci schiacciare da chi ha più numeri e abitudine al palcoscenico, possa portarci a crescere e farci conoscere. Il fondamento di questo ragionamento deve basarsi sulla nostra professionalità. Proprio questa è il cardine per una proficua integrazione e collaborazione, sia con i medici specialisti che con gli altri professionisti sanitari. Personalmente ho ottimi rapporti e scambi professionali con tanti medici specialisti e professionisti sanitari audioprotesisti e logopedisti del mio territorio, che utilizzano il mio studio come riferimento per una consulenza professionale, per un esame specifico che li supporti nella diagnosi, per un trattamento riabilitativo che possa aiutare il loro paziente a risolvere un problema.

Audiology Infos. Prima di aprire un centro di proprietà ha vissuto esperienze di formazione e tirocinio fuori dalla sua Sardegna: nelle varie aree del nostro Paese, va ancora coltivata la cultura della popolazione per raggiungere un'adeguata consapevolezza dei disturbi audiologici e vestibolari che favorisca l'incontro fra i pazienti e i professionisti sanitari? Come si ottiene questo obiettivo nel contatto diretto sul territorio?

Gabriele Piredda. Viviamo in un Paese in cui si fa ancora fatica a parlare di cultura della prevenzione audiovestibolare: in questi anni si è fatto tanto, e qualche risultato già si vede; gli screening neonatali, ma anche la prevenzione uditiva in ambito lavorativo, sono alcuni esempi. Ricordiamoci, però, che la prevenzione non è mai abbastanza. Penso che il modo migliore per accelerare questo percorso sia favorire il dialogo, l’informazione e tutti i tipi di sensibilizzazione possibili, attuati massimamente in modo unitario e condiviso. Per ottenere questo obiettivo è fondamentale il lavoro d’équipe, lo scambio di vedute e di punti di vista degli operatori sanitari coinvolti. Il contatto si ottiene sensibilizzando il territorio, a partire dai più piccoli: non si possono non coinvolgere le scuole e gli insegnanti; bisogna cercare di creare in loro, ma prima di tutto in tutti noi operatori del settore, una coscienza preventiva. Dalle nuove generazioni può nascere un miglioramento di questa cultura e di questa coscienza che noi, da ragazzi, non abbiamo conosciuto. La prevenzione, in generale e non solo in ambito audiovestibolare, sta negli anni assumendo un ruolo sempre più importante.

Audiology Infos. Venendo alla pratica quotidiana, qual è il paziente-tipo del suo centro?

Gabriele Piredda. Il paziente generalmente arriva nel mio centro dopo aver eseguito una visita specialistica che ha richiesto specifici esami uditivi e/o vestibolari, o per eseguire terapie riabilitative in ambito vestibolare. I soggetti, soprattutto in ambito vestibolare, hanno spesso una sintomatologia cronica. La rieducazione è delicata: le conoscenze cliniche e professionali devono affiancarsi ad un lavoro che tenga conto dello stato ansioso-emotivo della persona che si ha di fronte. Il bello di questa professione è che ogni paziente non è mai uguale al precedente. Un altro settore interessante, che sta iniziando a svilupparsi in collaborazione con diversi colleghi audioprotesisti, è rappresentato dalle valutazioni di resa protesica che permettono loro di regolare al meglio gli ausili indossati dal paziente ipoacusico. Questa procedura, essenziale ed imprescindibile per i bambini, è in realtà fondamentale anche nei pazienti adulti e anziani.

Audiology Infos. Benessere generale, oltre che buona salute, è l'obiettivo principale da raggiungere per i pazienti audiovestibolari, cosa che richiede ad un buon audiometrista competenze non soltanto tecniche ma anche umane: per questo aspetto prepara a sufficienza il percorso formativo professionale o subentra piuttosto la sensibilità del singolo operatore?

Gabriele Piredda. Bella domanda. Non penso che il percorso universitario possa preparare a sufficienza gli audiometristi, dal punto di vista umano. Potrebbe essere un aspetto da considerare e, volendo, da aggiungere al programma didattico. Io credo che un audiometrista, come qualsiasi operatore sanitario, non possa prescindere dall’avere una spiccata sensibilità umana e dal dover costantemente lavorare per migliorarla: d'altronde non stiamo aggiustando una macchina, ma abbiamo di fronte una persona che spesso arriva da noi in condizioni ansioso-emotive molto precarie.

Audiology Infos. Lavorare nel settore può essere uno sbocco professionale oggi in Italia? Cosa consiglia ad uno studente all'inizio della carriera?

Gabriele Piredda. Come accennato in precedenza, gli sbocchi secondo me sono tanti: ad oggi, è vero, sono un po’ sotto traccia, bisogna andare a cercarli e, soprattutto, spesso spostarsi dal proprio ambiente familiare per trovarli, sperando poi – come è successo a me – di poter tornare a casa per realizzare il proprio progetto, che si sviluppi in ambito sia ospedaliero sia libero-professionale. Il mio consiglio – con il senno di poi, anche per me è stato così – è quello di spostarsi il più possibile, per conoscere le varie realtà e costruirsi un bagaglio di esperienza che permetta di trovare la propria strada. Vista la situazione attuale, se io oggi fossi al termine della mia carriera universitaria, per arricchire la mia formazione e il mio bagaglio culturale valuterei l’idea di un periodo fuori dal nostro Paese.

A cura di Claudia Patrone

Fonte: www.audiology-infos.it